E’ legittimo il licenziamento motivato dalla soppressione del posto di lavoro a seguito di esternalizzazione del servizio ma occorre provare l’impossibilità di impiegare diversamente il dipendente che vi era addetto (repechage). E’ quanto evidenzia la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10435 del 2 maggio 2018, che sottolinea la necessità di verificare la sussistenza di entrambi i presupposti di legittimità e, quindi, sia delle ragioni inerenti all’attività produttiva, sia dell’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, per graduare l’eventuale sanzione. In caso di illegittimità del licenziamento, quando è applicabile la tutela reintegratoria?
Il concetto di “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento, enunciato dal comma 7 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come novellato dalla legge Fornero del 2012, deve intendersi riferito alla nozione complessiva di giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro. Occorre pertanto verificare tutti i presupposti di legittimità addotti da quest’ultimo.
Illegittimità del licenziamento e indennità risarcitoria
Dopo la decisione della Corte Costituzionale del 23 aprile 2018, n. 86 , anche la Corte di Cassazione interviene con la sentenza n. 10435 del 2 maggio 2018 per chiarire la portata dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, nel testo rivisitato dalla legge n. 92 del 2012.
In particolare, la Suprema Corte è stata chiamata a decidere sulla portata applicativa del comma 7 dell’articolo 18 della legge n.300/1970, nella parte in cui richiama il comma 5 dello stesso articolo 18 e sancisce con una indennità risarcitoria il licenziamento per il quale non ricorrono gli estremi del giustificato motivo.
Concetto di “manifesta insussistenza”
Secondo la Cassazione, il legislatore ha inteso riservare la tutela reintegratoria alle sole ipotesi di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”. Tale “manifesta insussistenza” è riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei presupposti posti a base del licenziamento ed in tal caso il giudice “può applicare la disciplina di cui al comma 4 del medesimo art. 18”, vale a dire la reintegra, «ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro».
Ritiene la Cassazione che con il concetto di “manifesta insussistenza” il Legislatore abbia inteso limitare ad ipotesi residuali il diritto ad una tutela reintegratoria, “non potendosi che fare riferimento al piano probatorio” che deve essere fornito dal datore di lavoro. In tal senso la “manifesta insussistenza” è verificabile in base ad “una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento che consenta di apprezzare la chiara pretestuosità del recesso, accertamento di merito demandato al giudice ed incensurabile, in quanto tale, in sede di legittimità”.
Soppressione del posto di lavoro e repechage
Nel caso in sentenza, il licenziamento era stato motivato dalla soppressione del posto di lavoro a seguito di esternalizzazione del servizio e dall’impossibilità di impiegare diversamente il dipendente che vi era addetto. Secondo la Suprema Corte, occorre esaminare entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e verificare, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.
Come già in precedenti sentenze, ritiene la Corte che la ragione inerente all’attività produttiva che ha rideterminato il ridimensionamento degli addetti può essere colta nell’esternalizzazione a terzi dell’attività a cui era addetto il lavoratore licenziato purchè la stessa non sia pretestuosa e vi sia un effettivo nesso causale. Quanto alla diversa collocazione del lavoratore licenziato (repechage), incombe sul datore di lavoro l’onere di fornire la prova di fatti e circostanze “idonei a persuadere il giudice della veridicità di quanto allegato circa l’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale”.
Per identificare la “manifesta insussistenza” dei fatti posti a base del licenziamento, che comporterebbe la sanzione della reintegra, occorre, pertanto la verifica (e l’insussitenza) di entrambi i motivi addotti.
Nella specie l’illegittimità del licenziamento è stata riscontrata dal giudice di merito nella sola inottemperanza all’obbligo di repechage e, pertanto, è stato dallo stesso giudice applicato il regime sanzionatorio indennitario di cui al comma 5 dell’articolo 18 in commento. E’ stata, invece, accertata la ricorrenza della ristrutturazione organizzativa che ha comportato la soppressione del posto di lavoro. La Corte territoriale ha, pertanto, ritenuto illegittimo il licenziamento e comminato la sanzione dell’indennità risarcitoria.
La Corte di Cassazione conferma, pertanto, la decisione della Corte territoriale, ritenendo non sussistente la manifesta infondatezza delle ragioni addotte per il licenziamento.
(Fonte IPSOA)