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Retribuzioni in contanti: sanzioni severe per le aziende che violano il divieto

La norma è volta a contrastare non soltanto il fenomeno delle “false assunzioni” ma anche la prassi di corrispondere ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo sottoscrivere al lavoratore un LUL in cui è esposta una retribuzione regolare. Si tratta, quindi, di una grave violazione del diritto dei lavoratori di percepire una giusta retribuzione sancito dall’ articolo 36 della Costituzione.

La novità sul divieto di pagamento degli stipendi in contanti è stata introdotta con la Legge di Bilancio 2018.

A far data dal 1° luglio 2018, tutti i datori di lavoro o committenti privati sono obbligati a corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:

La legge indica degli specifici metodi di pagamento delle retribuzioni, ivi compreso gli acconti degli stipendi: lo stesso Ispettorato del lavoro, nella nota protocollo n. 4538 del 2018, ha chiarito ulteriormente che un qualsiasi strumento di pagamento delle retribuzioni diverso da quelli di cui sopra, comporta l’irrogazione della sanzione.

Il divieto di corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante si estende anche gli acconti di stipendio, seppure modesta entità e anche se erogato al lavoratore per prassi (pagamento a giornata o a settimana).

Per rapporto di lavoro si intende ogni rapporto di lavoro subordinato indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.

Il nuovo obbligo si applica, dunque, a qualsiasi forma rapporto di lavoro subordinato, inclusi:

Sono esclusi da tale obbligo tutti i rapporti che non sono di lavoro subordinato o di collaborazione, quali ad esempio i tirocini formativi (o stage). Gli stagisti possono essere pagati in contanti, o per meglio dire, il datore di lavoro può erogare l’indennità di partecipazione, ossia il compenso previsto per lo stage.

Devono altresì ritenersi esclusi, in quanto non richiamati espressamente dal comma 912 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2018, i compensi derivanti da borse di studio e rapporti autonomi di natura occasionale ex art. 2222 del codice civile.

Regole a parte anche per i rapporti di lavoro domestico, rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

La legge di Bilancio 2018 stabilisce anche che la firma della busta paga apposta dal lavoratore non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. L’avvenuto pagamento della retribuzione può essere attestato unicamente dalla copia del pagamento della retribuzione stessa, quindi copia del bonifico, fotocopia dell’assegno o comunque attestazione bancaria o postale.

Al datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di pagamento retribuzioni con strumenti tracciabili si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro, con riferimento alla totalità dei rapporti di lavoro, quindi indipendentemente dal numero di violazioni.

Le fattispecie sanzionabili individuate dall’Ispettorato sono:

Va inoltre ricordato che, ai fini della contestazione, il personale ispettivo deve verificare non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege ma che lo stesso sia andato a buon fine con l’accredito dello stipendio stesso sul conto corrente del lavoratore o comunque nell’estratto conto della carta.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito, nella nota n. 4538 del 22 maggio 2018, che la violazione, anche solo per un acconto di modesta entità, comporta una sanzione non diffidabile, poiché non sanabile entro un certo lasso di tempo, che può comunque essere ridotta di un terzo del massimo (pari a 1.667 euro), pagando entro 60 giorni dal verbale di contestazione.

(Fonte IPSOA)

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