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Pausa pranzo del dipendente: quali sono le regole che l’azienda deve rispettare

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La pausa pranzo è un diritto, non soggetto a rinuncia, che spetta al lavoratore qualora la prestazione lavorativa superi le 6 ore nell’ambito dell’orario di lavoro. Le modalità e la durata sono stabilite dai CCNL, in mancanza di regolamentazione dalla contrattazione collettiva, al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a 10 minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.

Il tema della flessibilità dell’orario di lavoro assume sempre maggiore rilevanza all’interno delle aziende come strumento essenziale per garantire le giuste esigenze di conciliazione vita – lavoro.

Flessibilità dell’orario di lavoro su base settimanale o giornaliera e contrazione della settimana lavorativa su 4 giorni.

Per quanto riguarda la flessibilità dell’orario di lavoro, ovvero la libertà riconosciuta al lavoratore di collocare le 8 lavorative in una fascia oraria predeterminata, un aspetto fondamentale riguarda la gestione della pausa pranzo per il lavoratore.

In particolare, esiste un obbligo di pausa pranzo? Che durata minima deve avere? La pausa pranzo deve essere retribuita?

Cerchiamo di fare il punto della situazione alla luce anche dell’ordinanza n. 21440 del 31 luglio 2024 della Cassazione Lavoro.

La disciplina di legge: il D.Lgs. n. 66/2003.

L’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003 stabilisce che, qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di 6 ore, il lavoratore ha diritto ad una pausa, le cui modalità e durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro.

Finalità della pausa è il recupero delle energie psico-fisiche e la consumazione dell’eventuale pasto anche in un’ottica di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.

In mancanza di regolamentazione data dalla contrattazione collettiva, al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a 10 minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.

Pertanto:

  • in assenza di disciplina collettiva, il lavoratore che presti la sua attività per più di 6 ore al giorno ha diritto beneficiare di una pausa non inferiore ai 10 minuti, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro;
  • la pausa, ove spettante, non deve essere frazionata e non può essere sostituita da compensi economici.

La pausa pranzo deve essere retribuita?

Secondo quanto previsto dall’art. 5 del R.D. n. 1955/1923 e dall’art. 4 del R.D. n. 1956/1923 non sono considerati come lavoro effettivo:

  • i riposi intermedi che siano presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda;
  • le soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e complessivamente non superiore a 2 ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione lavorativa.

Si ricorda che il mancato requisito della effettiva prestazione lavorativa da parte del lavoratore fa “venir meno” il concetto di orario di lavoro e pertanto l’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro.

L’art. 1 co. 2 del D.Lgs. n. 66/2003, definisce come orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni; affinché il lavoratore sia considerato in orario di lavoro e conseguentemente maturi il diritto alla retribuzione è necessario che si verifichino tutte e 3 le condizioni previste dalla legge.

Il venir meno di uno dei requisiti, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva, esclude il concetto di orario di lavoro retribuito.

La pausa pranzo pertanto è un diritto che spetta al lavoratore qualora la prestazione lavorativa superi le 6 ore nell’ambito dell’orario di lavoro.

La pausa pranzo non può essere oggetto di rinuncia da parte del lavoratore.

È da tener presente che la norma non stabilisce quando deve essere collocata la pausa pranzo che pertanto può essere goduta in qualsiasi momento della giornata lavorativa.

La collocazione può essere stabilita dal datore di lavoro che la può prevedere nello stesso momento per tutto il personale ovvero diversificarla a seconda delle proprie esigenze tecnico organizzative e produttive per funzioni/reparti.

Sul tema si segnala la posizione del Ministero del Lavoro che con la

circ. n. 8/2005 ha chiarito che:

  • in mancanza di contrattazione collettiva che preveda una pausa per una finalità qualsiasi, anche ulteriore rispetto a quelle previste dal decreto, il lavoratore ha diritto ad un intervallo non inferiore a 10 minuti;
  • il periodo di pausa può essere fruito anche sul posto di lavoro, in quanto la finalità della pausa è quella di costituire un intervallo tra due momenti di esecuzione della prestazione, ma non può essere sostituito da compensazioni economiche;
  • la determinazione del momento in cui godere della pausa è rimessa al datore di lavoro che la può individuare, tenuto conto delle esigenze tecniche dell’attività lavorativa, in qualsiasi momento della giornata lavorativa e non necessariamente successivamente al trascorrere delle 6 ore di lavoro con la conseguenza che nell’ipotesi in cui l’organizzazione del lavoro preveda la giornata spezzata, la pausa potrà coincidere con il momento di sospensione dell’attività lavorativa;
  • i periodi di pausa, stante la definizione di orario di lavoro, non vanno computati come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata e non sono retribuiti salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi.

La posizione della Cassazione: l’ordinanza n. 21440 del 31 luglio 2024

Da ultimo si segnala la posizione della Corte di Cassazione (ordinanza n. 21440/2024) intervenuta in tema di diritto alla pausa retribuita e alla consumazione del pasto.

Partendo dall’analisi del CCNL Sanità la Corte ha sancito che:

  • la norma dell’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003 non attribuisce il diritto alla mensa ma disciplina esclusivamente il diritto alla pausa, essendo soltanto una possibilità quella di consumare il pasto durante la pausa;
  • il CCNL applicato al rapporto stabilisce che il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro e il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo dell’orario e non deve essere superiore a 30 minuti
  • da tale noma si ricava che la fruizione del pasto – ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto – è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato; diversamente, non potrebbe esercitarsi alcun controllo sulla sua durata;
  • anche nel testo legislativo (art. 8 D.Lgs. n. 66/2003) dunque, la consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro ed avviene nel corso della stessa.

Pausa pranzo e obbligo di riconoscere il buono pasto o servizio mensa

La normativa attuale e in particolare il D.M. n. 122/2017 all’art. 4 comma 1 lettera c) si “limita” a stabilire che i buoni pasto sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché’ dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato

Nessun diritto, pertanto, per il lavoratore al buono pasto o al servizio sostitutivo (mensa) e nessun obbligo in capo al datore di lavoro di riconoscerlo. Obbligo che potrebbe invece essere posto in essere dall’eventuale contrattazione collettiva, nazionale o aziendale.

Fonte IPSOA.it