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La Corte di Cassazione: licenziabile l’operaio troppo lento

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Licenziabile l’operaio troppo lento. Così si può riassumere la vicenda che ha visto protagonista il dipendente – oramai ex – di un’azienda operativa nel settore delle energie alternative. La Corte di Cassazione (come spiega il quotidiano online Diritto e Giustizia, edito da Giuffrè Francis Lefebvre, che ha dato la notizia) ha respinto definitivamente le sue obiezioni rispetto al licenziamento deciso dalla società e poggiato sull’eccessivo tempo impiegato per una lavorazione.

Decisiva la recidiva dell’operaio nella «voluta negligenza»

Questo è l’episodio descritto nella sentenza depositata in Cancelleria il 5 luglio: il lavoratore è finito nel mirino «per avere impiegato più di tre ore e mezza di tempo per eseguire una lavorazione che», secondo l’azienda, «un operaio con esperienza analoga avrebbe eseguito in poco più di mezz’ora». A renderne più delicata la posizione, poi, anche «tre precedenti sanzioni disciplinari». Per la società è logico il «licenziamento», che viene confermato dai Giudici del Tribunale prima e della Corte d’Appello poi. Decisiva la recidiva dell’operaio nella «voluta negligenza» e nella «lentezza nell’esecuzione del lavoro». Inutile si rivela il ricorso in Cassazione proposto dal legale del lavoratore.

Legittima «l’installazione di impianti di controllo»

La Suprema Corte, difatti, ha confermato il provvedimento aziendale, proprio alla luce delle precedenti contestazioni subite dal lavoratore, e ha respinto l’ipotesi che vi sia stato un «controllo» eccessivo da parte della società. Su quest’ultimo fronte, in particolare, i giudici ribadiscono che è legittima «l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste per esigenze organizzative e produttive o a tutela del patrimonio aziendale» e da cui «non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori».

(Fonte corriere.it)

Lavoratori distaccati: definite dall’UE le regole anti-dumping

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Gli Stati membri dell’Unione europea hanno tempo fino al 30 luglio 2020 per adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva UE 2018/957, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE il 9 luglio 2018 che rafforza le norme anti-dumping sul distacco trasnazionale dei lavoratori.

La nuova direttiva modifica la precedente 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito delle prestazioni di servizi, con l’intento di garantire uniformitànell’applicazione delle norme e un’autentica convergenza sociale.

Le nuove disposizioni si applicheranno anche al settore del trasporto su strada, ma solo a decorrere dalla data di applicazione di un atto legislativo che modifica la direttiva 2006/22/CE e stabiliscono norme specifiche in relazione alla direttiva 96/71/CE e alla direttiva 2014/67/UE per il distacco dei conducenti nel settore dei trasporti su strada, settore che è, peraltro, particolarmente colpito dalla concorrenza di lavoratori che arrivano da Paesi membri che non prevedono particolari tutele.

Secondo il considerando n. 8 della nuova direttiva, i lavoratori distaccati, che sono inviati temporaneamente dal loro abituale luogo di lavoro nello Stato membro ospitante verso un altro luogo di lavoro, dovrebbero ricevere almeno le stesse indennità o lo stesso rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali che si applicano ai lavoratori locali in tale Stato membro. Lo stesso dovrebbe applicarsi alle spese sostenute da lavoratori distaccati tenuti a recarsi al loro abituale luogo di lavoro nello Stato membro ospitante e fare da esso ritorno.

È pertanto necessario garantire la tutela dei lavoratori per salvaguardare la libera prestazione dei servizi, evitando l’abuso dei diritti garantiti dai trattati senza però pregiudicare il diritto delle imprese che distaccano lavoratori nel territorio di un altro Stato membro di invocare la libera prestazione dei servizi, anche nei casi in cui un distacco sia superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi.

In tale ottica, qualora la durata effettiva di un distacco superi i 12 mesi (o 18 mesi) gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori che sono distaccati nel loro territorio tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, stabilite da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o dalla contrattazione collettiva. Il periodo di distacco può essere elevato a 18 mesi qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata.

Con riferimento alla contrattazione collettiva, è la stessa direttiva 96/71/CE a precisare che “Per contratti collettivi o arbitrati, dichiarati di applicazione generale, si intendono quelli che devono essere rispettati da tutte le imprese situate nell’ambito di applicazione territoriale e nella categoria professionale o industriale interessate. In mancanza di un sistema di dichiarazione di applicazione generale di contratti collettivi o di arbitrati di cui al primo comma, gli Stati membri possono, se così decidono, avvalersi:

  • dei contratti collettivi o arbitrati che sono in genere applicabili a tutte le imprese simili nell’ambito di applicazione territoriale e nella categoria professionale o industriale interessate
  • e/o dei contratti collettivi conclusi dalle organizzazioni delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale e che sono applicati in tutto il territorio nazionale”. Durante il periodo di distacco, i lavoratori sono destinatari delle norme applicate nel Paese ospitante.

In Italia la precedente direttiva 96/71/CE, come modificata dalla direttiva 2014/67/UE, è stata recepita con il D.Lgs. n. 136 del 2016 che definisce:

– lavoratore distaccato, il lavoratore abitualmente occupato in un altro Stato membro che, per un periodo limitato, predeterminato o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo, svolge il proprio lavoro in Italia;

– condizioni di lavoro e di occupazione, le condizioni disciplinate dalle disposizioni normative e dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81 del 2015 relative alle seguenti materie:

1) periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;

2) durata minima delle ferie annuali retribuite;

3) trattamenti retributivi minimi, compresi quelli maggiorati per lavoro straordinario;

4) condizione di cessione temporanea dei lavoratori;

5) salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;

6) provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani;

7) parità di trattamento fra uomo e donna nonche’ altre disposizioni in materia di non discriminazione.

Il richiamato D.Lgs. n. 136/2016 ha, altresì, introdotto l’obbligo per l’impresa che distacca lavoratori in Italia di comunicare il distacco al Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro le ore ventiquattro del giorno antecedente l’inizio del distacco e di comunicare tutte le successive modificazioni entro cinque giorni.

L’autenticità del distacco richiede che l’impresa distaccante eserciti effettivamente attività diverse rispetto a quelle di mera gestione o amministrazione del personale dipendente, avendo quindi rilievo il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, i reparti o le unità produttive e il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati. Rileva altresì l’effettivo svolgimento dell’attività da parte del soggetto distaccante, data dal numero dei contratti eseguiti o dall’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento.

(Fonte IPSOA)

Regolarità contributiva e agevolazioni: arriva la DPA per semplificare le procedure

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A partire dal 9 luglio diviene operativa la nuova procedura di Dichiarazione Preventiva di Agevolazione (DPA), che aziende ed intermediari possono utilizzare per verificare la regolarità contributiva ed acquisire l’esito del DURC già a partire dal primo mese di fruizione di una agevolazione o beneficio. A tal fine l’azienda deve dichiarare, compilando il nuovo modulo telematico, la propria volontà di usufruire delle agevolazioni a partire dal mese in cui ne ha diritto e per tutto il periodo di permanenza del titolo medesimo, entro il giorno precedente la scadenza del pagamento della denuncia stessa.

La trasmissione della Dichiarazione Preventiva di Agevolazione determinerà l’avvio, in tempo reale, dell’interrogazione della piattaforma Durc On Line: l’esito sarà registrato sul sistema DPA e legittimerà l’azienda alla fruizione dei benefici.

Il modello telematico “DPA – Dichiarazione per la fruizione dei benefici normativi e contributivi”, si troverà all’interno dell’applicazione “DiResCo – Dichiarazioni di Responsabilità del Contribuente”.

Per avviare il procedimento di verifica sarà necessario inserire la matricola e attendere l’esito positivo o l’eventuale invito a regolarizzare.

L’indicazione del numero di mesi in cui si intende fruire dell’agevolazione non è un dato vincolante per il datore di lavoro, ma è funzionale all’avvio delle successive verifiche mensili automatiche da parte del sistema: il datore di lavoro non dovrà dunque effettuare la comunicazione per ogni nuovo beneficio che intende utilizzare, poiché la comunicazione, già presente e in corso di validità, determina la verifica della regolarità per l’intero codice fiscale, le matricole ad esso collegate e tutti i benefici che sono subordinati alla verifica della regolarità.

L’INPS ha specificato che la DPA costituisce un meccanismo di verifica su base volontaria: il datore di lavoro non è obbligato ad effettuarla né tantomeno tale scelta può configurare ipotesi di irregolarità amministrativa. La verifica di regolarità infatti, viene comunque effettuata dall’Istituto ogni volta che nel flusso di denuncia mensile UniEmens è evidenziata almeno un’agevolazione.

(Fonte IPSOA)

Convegno a Salerno il 13 luglio: LA SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO

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Convegno a Salerno il 13 luglio: LA SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO
Salerno, venerdì 13 luglio ore 16:00
Provincia di Salerno, Salone Bottiglieri

locandina DEFINITIVA

Contratto a tempo determinato con causale e proroghe ridotte

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ll Consiglio dei Ministri, nella riunione del 2 luglio 2018, ha approvato il decretolegge che introduce misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali Luigi Di Maio.

La stipula di contratti a tempo determinato potrà continuare ad essere “acausale” soltanto in caso di durata non superiore a 12 mesi. Sarà invece in ogni caso necessario apporre una causale in caso di rinnovi successivi al primo contratto a termine o anche dal primo contratto di assunzione se di durata superiore a 12 mesi. Ridotto il limite massimo di durata complessiva di rapporti a termine a 24 mesi tra il medesimo datore di lavoro e lavoratore..

La causale da apporre al contratto deve essere connessa ad esigenze:

  • temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro;
  • sostitutive;
  • relative ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
  • relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali, individuati con decreto del Ministero del

Una copia del contratto, necessariamente stipulato in forma scritta, dovrà essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.

L’impugnazione del contratto è consentita entro il termine di 270 giorni. Scende da 5 a 4 il numero massimo di proroghe, previo espresso consenso del lavoratore, e comunque entro il limite dei trentasei mesi, a prescindere dal numero di contratti, pena la conversione del rapporto a tempo indeterminato.

A differenza di quanto previsto dalle precedenti bozze, il decreto non prevede l’abrogazionedella tipologia di contratto di somministrazione a tempo indeterminato.

Al lavoratore da somministrare, assunto a tempo determinato, dovrà dunque essere applicata la disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, fatte salve speciali previsioni di legge.

In tutti i casi di instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, sarà previsto un contributo previdenziale aggiuntivo pari allo 0,5% per ogni rinnovo a partire dal secondo. Tale aliquota contributiva va dunque a sommarsi al contributo di finanziamento della NaspI, già in vigore e pari all’1,40%, al cui versamento sono obbligati i datori di lavoro che occupano lavoratori a tempo determinato. Stante la medesima natura dei due contributi, appare plausibile la possibilità di recuperare questo onere in caso di successiva conversione del rapporto a tempo indeterminato.

(Fonte IPSOA)

Distacco temporaneo di manodopera: quando è ammesso

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Il distacco temporaneo di manodopera rappresenta un’ulteriore ipotesi, accanto all’appalto ed alla somministrazione di lavoro, in cui il lavoratore svolge di fatto la propria prestazione presso un soggetto diverso dal proprio datore di lavoro, con una scissione strutturale fra titolarità giuridica e gestione del rapporto lavorativo. Questa particolare forma di esternalizzazione, differentemente da quelle più generaliste analizzate negli articoli delle scorse settimane, è tuttavia utilizzabile solo in presenza di specifiche condizioni che il nostro ordinamento dettagliatamente individua.

Questo istituto non va, evidentemente, confuso con il distacco transnazionale dal quale, pur nella condivisione di alcuni limitati principi, si distingue in virtù di una differente disciplina giuridica che verrà analizzata in un prossimo approfondimento.

Secondo le previsioni dell’art. 30, del D.Lgs. n. 276/2003 il distacco si realizza quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Esso rappresenta una tipica esplicazione del potere direttivo del datore di lavoro il quale dispone una diversa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa; proprio per questa ragione il lavoratore distaccato non può che avere un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del datore di lavoro distaccante. A questo proposito il Ministero del lavoro, con la risposta ad interpello n. 387/2005, ha precisato che il distacco è ammesso anche per i lavoratori con contratto a termine, comunque nel rispetto dei limiti di validità del rapporto.

In passato la legittimità del distacco era strettamente correlata al requisito di imprenditorialità del distaccante, quindi quest’ultimo doveva essere dotato di una specifica struttura organizzativa (art. 2082 cod. civ.). Con la riforma del 2003, invece, il Legislatore ha consentito che a rivestire il ruolo di distaccante sia qualsiasi “datore di lavoro” anche non formalmente inquadrato come imprenditore, purché risulti l’effettivo datore di lavoro del lavoratore distaccato. Anche con riguardo al soggetto distaccatario la norma riconosce la legittimità di un distacco presso un non imprenditore.

Affinché il distacco di un lavoratore possa essere considerato legittimo, devono contemporaneamente sussistere le seguenti tre fondamentali condizioni:

Il distaccante deve essere spinto al distacco da un qualsiasi interesse produttivo proprio che non può coincidere, evidentemente, con quello alla mera somministrazione di lavoro, interesse che deve sussistere e protrarsi per tutta la durata del distacco. Per valutarne la genuinità, questo presupposto andrà accertato concretamente, caso per caso, in base all’attività espletata e non semplicemente con riferimento agli scopi sociali dell’impresa (salvo il caso del contratto di rete o dei gruppi d’imprese di cui si dirà appresso).

A questo riguardo con la circolare n. 28/2005 il Ministero del lavoro, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha declinato le peculiarità che l’interesse del distaccante deve possedere. In particolare esso deve essere: · specifico, nel senso che necessita di una esatta individuazione, senza riferimenti generali e non circostanziati ad attività, fatti o situazioni contingenti: ogni distacco deve muovere da un distinto e specificamente individuato interesse datoriale;

· rilevante, vale a dire che deve mostrare caratteristiche idonee a proporzionare la scelta datoriale al significato strategico dell’operazione nel contesto dell’organizzazione aziendale: il distacco va letto nell’ottica dei riflessi organizzativo-produttivi che viene precisamente ad avere per il datore di lavoro distaccante;

· concreto, e cioè non deve avere astratta attinenza con i processi produttivi o logistici aziendali, ma diretta e immediata incidenza su almeno uno di essi: la giurisprudenza ha insistito sulla “concretezza” dell’interesse al distacco, evidenziando che il patto con il quale il lavoratore viene ad essere distaccato deve trovare diretta e veritiera rispondenza in un interesse che non sia generale ed astratto, ma che, al contrario, risulti perfettamente aderente alla realtà gestionale dell’organizzazione datoriale interessata;

· persistente, nel senso che deve permanere per tutta la durata del distacco e sussistere fin dal primo momento dell’attivazione di esso: il distaccante dovrà, quindi per tutta la durata del distacco, essere accompagnato da una specifica valutazione interessata dell’operazione posta in essere.

Vale a dire la non definitività dello stesso, rispetto alla quale non ha alcun rilievo l’entità del periodo di distacco, ma soltanto il fatto che la durata del distacco stesso risulti funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante; secondo un risalente ma consolidato orientamento giurisprudenziale, non è necessario che la durata sia particolarmente breve, né che sia predeterminata ab initio.

Il lavoratore distaccato non potrà essere addetto a prestazioni lavorative generiche, ma a quella determinata attività lavorativa che caratterizza e sostanzia l’interesse proprio del distaccante.

Relativamente al luogo dove viene svolta la prestazione lavorativa del lavoratore distaccato, l’Interpello n. 1/2011 ha chiarito che: «Il luogo di lavoro del lavoratore distaccato costituisce mera modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (…), la prestazione del lavoratore presso una sede di lavoro diversa da quella del distaccatario costituisce dunque un elemento di fatto della prestazione che potrà eventualmente essere valutato, unitamente agli altri, per verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti di legittimità e l’assenza di condotte elusive».

In linea generale, il consenso del lavoratore non costituisce un presupposto per il legittimo distacco. Tale consenso diviene, tuttavia, necessario qualora il distacco comporti un mutamento di mansioni, anche se questo particolare aspetto andrà oggi letto alla luce delle novità introdotte dall’art. 3, del D.Lgs. n. 81/2015 in tema di mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di distacco che comporti lo spostamento ad una unità produttiva distante più di 50 chilometri rispetto a quella originaria, la norma, inoltre per evitare surrettizie forme di trasferimento, esige la presenza dei medesimi presupposti giustificativi previsti dall’art. 2103 cod. civ.. Pertanto il distacco, in questo caso, sarà consentito in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Il D.L. n. 76/2013 (convertito in legge n. 99/2013) ha emendato la norma di riferimento prevedendo che, nell’ambito di un contratto di rete (cfr. art. 3, co.4- ter, 4-quater e 4-quinquies del DL n. 5/2009, convertito dalla Legge n. 33/2009), l’interesse dell’impresa a distaccare i lavoratori presso altre imprese della rete sorge automaticamente in forza dell’operare della rete (quindi non è necessario che venga esplicitato).

Conseguentemente, in presenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario, ai fini della valutazione di genuinità dell’istituto, sarà sufficiente verificare la sussistenza delle rimanenti due condizioni sopra indicate: la temporaneità del distacco e lo svolgimento di una specifica attività (Ministero del lavoro Circ. n. 35/2013).

Analogo discorso vale per il distacco tra le società appartenenti al medesimo gruppo d’imprese (ex art. 2359, comma 1, c.c.) per le quali l’interesse della società distaccante si ritiene possa coincidere col comune interesse perseguito dal gruppo (cfr. Ministero del lavoro Interpello n. 1/2016).

Difatti, come pure osserva la Suprema Corte nella sentenza n. 8068 del 21/04/2016, in presenza di distinte soggettività giuridiche che compongano un gruppo di imprese titolari di un interesse concorrente alla realizzazione di comuni strutture organizzative e produttive, è riconosciuta la sussistenza dell’interesse al distacco del lavoratore presso un soggetto giuridico diverso, non configurandosi l’interposizione fittizia di manodopera.

In caso di distacco il datore di lavoro distaccante rimane unico diretto responsabile del trattamento economico e normativo a beneficio del lavoratore distaccato. Questi oneri, per tutta la durata del distacco, permangono dunque a carico del distaccante che ne è esclusivo responsabile nei confronti del lavoratore. In relazione al fatto che svolgono per tutta la durata del distacco la prestazione nell’interesse del distaccante, i lavoratori non acquisiscono alcun diritto a ricevere un trattamento economico e normativo equiparato a quello dei dipendenti del distaccatario.

Relativamente all’obbligazione contributiva, questa va adempiuta in relazione all’inquadramento del datore distaccante e resta a esclusivo carico di quest’ultimo. Si ritiene comunque legittima la prassi (consolidata soprattutto all’interno dei gruppi) del rimborso, da parte del distaccatario, degli oneri economici sostenuti dal distaccante. Anzi, secondo quanto affermato nella risposta ad Interpello n. 3/2014, proprio perché il lavoratore distaccato esegue la propria prestazione lavorativa anche nell’interesse del distaccatario, il rimborso degli oneri rende maggiormente trasparente l’imputazione reale dei costi sostenuti nell’operazione.

Con riguardo alla corretta interpretazione all’obbligo della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, il Ministero del lavoro, per mezzo dell’Interpello sicurezza n. 8/2016, ha chiarito che gli obblighi relativi alla salute e sicurezza incombono, in modo differenziato, tanto sul datore di lavoro che ha disposto il distacco quanto sul beneficiario della prestazione secondo il seguente schema:

– Sul distaccante grava l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato;

– Al distaccatario spetta, invece, l’onere di ottemperare a tutti gli altri obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro inclusa, quindi, la sorveglianza sanitaria.

Per quanto riguarda l’assicurazione infortuni sul lavoro e malattie professionali, si evidenzia che i premi INAIL, pur essendo versati dal datore di lavoro distaccante, vanno tuttavia calcolati sulla base dei premi e della tariffa applicati dal distaccatario in relazione agli specifici rischi dell’attività svolta da quest’ultimo.

In caso di infortunio (o di malattia professionale), il lavoratore distaccato deve darne tempestivamente notizia al proprio datore di lavoro (distaccante) trasmettendogli la relativa certificazione medica; questi potrà così predisporre, nel rispetto dei tempi previsti, le eventuali denunce.

In caso di distacco il datore di lavoro distaccante ha l’obbligo, entro i cinque giorni successivi, di effettuare la comunicazione telematica obbligatoria per mezzo del modulo Unificato LAV (art. 4-bis, co. 5, D.Lgs. n. 181/2000 e s.m.i.). In caso di omissione o di ritardato invio, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato (violazione sanabile ex art. 13, D.Lgs. 124/2004).

Il Ministero del lavoro, con la circolare n. 20/2008, ha sostenuto inoltre che sul libro unico del lavoro del distaccatario vanno registrati anche i lavoratori distaccati. In particolare il Dicastero ha precisato che la registrazione va effettuata soltanto all’inizio ed alla fine dell’impiego (e non per tutti i mesi di eventuale durata del distacco) e che il distaccatario dovrà limitarsi ad annotare soltanto i dati identificativi del lavoratore (nome, cognome, codice fiscale, qualifica e livello di inquadramento contrattuale, riferimenti del distaccante), mentre il distaccante dovrà procedere alle annotazioni integrali anche con riferimento al calendario delle presenze e ai dati retributivi. Al riguardo, tuttavia, si evidenzia che, in base al principio di tassatività, non sarà possibile, in caso di violazione dell’obbligo da parte del distaccatario, applicare la specifica sanzione dell’omessa registrazione dei dati sul LUL (art. 39, comma 7, legge n. 133/2008), ma il personale ispettivo potrà tutt’al più utilizzare il potere di disposizione previsto dall’art.14, del D.Lgs. n. 124/2004 che, in caso di inosservanza, comporta la successiva applicazione della sanzione da 515 a 2.580 euro (art. 11, comma 1, DPR n. 520/1955).

Sotto il profilo civilistico, se il distacco avviene in assenza dei presupposti sostanziali e formali, si configura un’ipotesi di somministrazione abusiva a carico dello pseudo-distaccante, ed una conseguente utilizzazione illecita a carico dello pseudo-distaccatario ed il lavoratore può richiedere, mediante ricorso giudiziale ai sensi dell’art. 414 c.p.c., la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.

Sotto il profilo sanzionatorio, infine, per effetto dell’intervenuta depenalizzazione ad opera del D.Lgs. n. 8/2016, il distacco illecito comporta l’applicazione delle sanzioni che si riepilogano nella seguente tabella.

Regime sanzionatorio distacco illecito di manodopera

Fattispecie Distacco privo dei requisiti di cui all’art. 30, co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003 Somministrazione abusiva Utilizzazione illecita

Riferimento Art 18, comma 5-bis, D.Lgs. n. 276/2003; Art. 1, comma 1, e 6, D.Lgs. n. 8/2016

Condotta Somministratore (pseudo-distacante): esercizio non autorizzato dell’attività; Utilizzatore (pseudo-distaccatario) che si rivolge ad un somministratore abusivo

Sanzione a) Sanzione amministrativa di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione a carico del somministratore e dell’utilizzatore (La sanzione applicata non può, in ogni caso, essere inferiore a 5.000 euro, né superiore a 50.000 euro).

b) Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino a € 300/giorno/lavoratore.

(Fonte IPSOA)

Retribuzioni in contanti: sanzioni severe per le aziende che violano il divieto

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La norma è volta a contrastare non soltanto il fenomeno delle “false assunzioni” ma anche la prassi di corrispondere ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo sottoscrivere al lavoratore un LUL in cui è esposta una retribuzione regolare. Si tratta, quindi, di una grave violazione del diritto dei lavoratori di percepire una giusta retribuzione sancito dall’ articolo 36 della Costituzione.

La novità sul divieto di pagamento degli stipendi in contanti è stata introdotta con la Legge di Bilancio 2018.

A far data dal 1° luglio 2018, tutti i datori di lavoro o committenti privati sono obbligati a corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:

  • Bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore
  • Strumenti di pagamento elettronico- Pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento
  • Emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato, che può essere il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a 16 anni.

La legge indica degli specifici metodi di pagamento delle retribuzioni, ivi compreso gli acconti degli stipendi: lo stesso Ispettorato del lavoro, nella nota protocollo n. 4538 del 2018, ha chiarito ulteriormente che un qualsiasi strumento di pagamento delle retribuzioni diverso da quelli di cui sopra, comporta l’irrogazione della sanzione.

Il divieto di corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante si estende anche gli acconti di stipendio, seppure modesta entità e anche se erogato al lavoratore per prassi (pagamento a giornata o a settimana).

Per rapporto di lavoro si intende ogni rapporto di lavoro subordinato indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.

Il nuovo obbligo si applica, dunque, a qualsiasi forma rapporto di lavoro subordinato, inclusi:

  • Contratto di lavoro a tempo indeterminato
  • Contratto di lavoro a tempo determinato o contratto a termine, anche part-time
  • Contratto di lavoro a tempo parziale o part-time
  • Contratto di apprendistato
  • Collaborazione coordinate e continuative o cococo
  • Lavoro intermittente
  • Contratti di lavoro con soci di cooperative.

Sono esclusi da tale obbligo tutti i rapporti che non sono di lavoro subordinato o di collaborazione, quali ad esempio i tirocini formativi (o stage). Gli stagisti possono essere pagati in contanti, o per meglio dire, il datore di lavoro può erogare l’indennità di partecipazione, ossia il compenso previsto per lo stage.

Devono altresì ritenersi esclusi, in quanto non richiamati espressamente dal comma 912 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2018, i compensi derivanti da borse di studio e rapporti autonomi di natura occasionale ex art. 2222 del codice civile.

Regole a parte anche per i rapporti di lavoro domestico, rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

La legge di Bilancio 2018 stabilisce anche che la firma della busta paga apposta dal lavoratore non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. L’avvenuto pagamento della retribuzione può essere attestato unicamente dalla copia del pagamento della retribuzione stessa, quindi copia del bonifico, fotocopia dell’assegno o comunque attestazione bancaria o postale.

Al datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di pagamento retribuzioni con strumenti tracciabili si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro, con riferimento alla totalità dei rapporti di lavoro, quindi indipendentemente dal numero di violazioni.

Le fattispecie sanzionabili individuate dall’Ispettorato sono:

  • corresponsione delle somme con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore
  • versamento delle somme dovute non realmente effettuato, nonostante l’utilizzo dei sistemi di pagamento tracciabili. Ciò accade, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario in favore del lavoratore venga successivamente revocato ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso.

Va inoltre ricordato che, ai fini della contestazione, il personale ispettivo deve verificare non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege ma che lo stesso sia andato a buon fine con l’accredito dello stipendio stesso sul conto corrente del lavoratore o comunque nell’estratto conto della carta.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito, nella nota n. 4538 del 22 maggio 2018, che la violazione, anche solo per un acconto di modesta entità, comporta una sanzione non diffidabile, poiché non sanabile entro un certo lasso di tempo, che può comunque essere ridotta di un terzo del massimo (pari a 1.667 euro), pagando entro 60 giorni dal verbale di contestazione.

(Fonte IPSOA)

DURC e regolarità contributiva: dall’INPS la Dichiarazione Preventiva di Agevolazione

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L’INPS, con il messaggio del 2 luglio 2018, n. 2648 rende noto che di aver realizzato il sistema Dichiarazione Preventiva di Agevolazione – D.P.A. attraverso il quale è possibile anticipare l’attivazione della verifica della regolarità contributiva ed acquisire l’esito del DURC a partire dal mese in cui l’agevolazione/beneficio viene fruito.

Il nuovo sistema mira ad agevolare la gestione del recupero delle agevolazioni fruite e assicurare che la verifica non venga effettuata in un momento successivo rispetto a quello della concreta fruizione dell’agevolazione denunciata nei flussi UniEmens correnti ovvero in quelli di variazione.

Il sistema Dichiarazione Preventiva di Agevolazione – D.P.A sarà operativo dal 9 luglio 2018 e prevede che l’azienda dichiari, attraverso un modello telematico, la volontà di usufruire delle agevolazioni a partire dal mese in cui ne ha diritto e per tutto il periodo di permanenza del titolo medesimo.

La dichiarazione, con riguardo alla matricola aziendale per la quale, per il mese considerato, verrà denunciata dal datore di lavoro l’agevolazione nel flusso UniEmens, deve avvenire entro il giorno precedente la scadenza del pagamento della denuncia stessa.

In ogni caso la matricola indicata sarà ricollegata al codice fiscale dell’azienda.

La trasmissione della Dichiarazione Preventiva di Agevolazione determinerà l’avvio, in tempo reale, dell’interrogazione della piattaforma Durc On Line. L’esito della verifica di regolarità sarà registrato sul sistema D.P.A. e fornirà la conferma circa la legittimità della fruizione dei benefici.

L’INPS, dal 9 luglio 2018, metterà a disposizione dei datori di lavoro il modulo telematico denominato “DPA – Dichiarazione per la fruizione dei benefici normativi e contributivi”, gestito dall’omonima procedura sul sito internet dell’Istituto, all’interno dell’applicazione “DiResCo – Dichiarazioni di Responsabilità del Contribuente”.

Con tale modulo si comunicherà la volontà di usufruire di un beneficio nelle denunce UniEmens innescando, da subito, la verifica della regolarità contributiva.

L’azienda potrà effettuare l’invio del modulo fino al giorno precedente la scadenza dell’obbligazione contributiva.

Accedendo a tale sezione, al datore di lavoro deve inserire la matricola sulla quale sarà esposto il beneficio soggetto a verifica di regolarità contributiva, nonché i mesi per i quali lo stesso verrà fruito.

Il sistema D.P.A., dopo aver protocollato l’istanza, invia alla procedura Durc On Line la richiesta di verifica della regolarità. Laddove sarà presente un Documento Durc On Line regolare in corso di validità D.P.A. ne registrerà l’esito; diversamente, verrà avviato il procedimento di verifica, con l’eventuale emissione dell’invito a regolarizzare.

Alla scadenza del periodo indicato nel modulo, il datore di lavoro che sta usufruendo o vuole usufruire di ulteriori incentivi dovrà trasmettere un nuovo modulo contenente i nuovi dati di riferimento.

L’INPS fa presente che, con il messaggio n. 2267 del 6 giugno 2018, è stata rilasciata la funzione di annullamento del Documento generato dal sistema di verifica della regolarità contributiva – DURC On Line in caso di esito regolare e Verifica regolarità contributiva in caso di esito irregolare – nelle ipotesi in cui, a seguito di verifiche d’ufficio ovvero su richiesta dell’interessato, risulti che lo stesso sia stato adottato sulla base di un’istruttoria incompleta o fondata su elementi non corrispondenti alla realtà.

Pervenuta da Durc On Line la notizia dell’annullamento di un Documento, il sistema procederà centralmente ad aggiornare i semafori già accesi sui mesi interessati dal Documento annullato (che vengono ricondotti a “rosso non lucchettato”) e a inserire il codice fiscale coinvolto in una nuova successiva richiesta a Durc On Line da Inps.

(Fonte IPSOA)

Indennità per scioglimento del rapporto di lavoro: è dovuta anche in caso di dimissioni

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La Corte di Giustizia UE è intervenuta a chiarire l’interpretazione dell’articolo 3, primo comma, della direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro. La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito al rifiuto del Fondo di garanzia salariale di versare all’interessata, in ragione dell’insolvenza del suo datore di lavoro, un’indennità per lo scioglimento del suo contratto di lavoro.

Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, primo comma, della direttiva 2008/94 debba essere interpretato nel senso che, qualora, secondo la normativa nazionale applicabile, certe indennità legali dovute per scioglimento del contratto di lavoro per volontà del lavoratore, al pari delle indennità dovute per licenziamento per ragioni oggettive, come quelle cui fa riferimento il giudice del rinvio, rientrino nella nozione di «indennità a seguito dello scioglimento del rapporto di lavoro» ai sensi di tale disposizione, devono rientrare in questa stessa nozione anche le indennità legali dovute per scioglimento del contratto di lavoro per volontà del lavoratore a causa del trasferimento del luogo di lavoro da parte del datore di lavoro, trasferimento che obblighi il lavoratore a cambiare luogo di residenza.

La Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 28 giugno 2018 nella causa n. C57/17 rileva innanzi tutto che l’articolo richiamato prevede che gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché gli organismi di garanzia assicurino il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati, risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro, comprese le indennità dovute ai lavoratori a seguito dello scioglimento del rapporto di lavoro, se previste dal diritto nazionale. Inoltre precisa che i diritti, di cui l’organismo di garanzia si fa carico, sono le retribuzioni non pagate corrispondenti a un certo periodo di tempo determinato dagli Stati membri.

Nella causa oggetto di discussione risulta che lo statuto dei lavoratori prevede esplicitamente che la garanzia per il pagamento delle indennità sia assicurato dal Fogasa nelle ipotesi di licenziamento o di scioglimento del contratto di lavoro, ma non contempla altre forme legali di scioglimento del rapporto di lavoro che diano luogo ad indennità legali.

La Corte ritiene che i lavoratori che optano per lo scioglimento del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 40 dello statuto dei lavoratori si trovino in una situazione analoga a quella dei lavoratori che optano per lo scioglimento del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 50 dello statuto dei lavoratori, dato che essi scelgono tale scioglimento in ragione del fatto che il datore di lavoro effettua modifiche sostanziali delle loro condizioni di lavoro, condizioni che il legislatore spagnolo ha ritenuto non potessero venire loro imposte, dal momento che in entrambi i casi ha previsto che il lavoratore potesse optare per lo scioglimento del rapporto di lavoro beneficiando inoltre di indennità.

Alla luce di quanto rilevato, la Corte dichiara che:

“l’articolo 3, primo comma, della direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro, deve essere interpretato nel senso che, qualora, secondo la normativa nazionale applicabile, certe indennità legali dovute per scioglimento del contratto di lavoro per volontà del lavoratore, al pari delle indennità dovute per licenziamento per ragioni oggettive, come quelle cui fa riferimento il giudice del rinvio, rientrino nella nozione di «indennità a seguito dello scioglimento del rapporto di lavoro» ai sensi di tale disposizione, devono rientrare in questa stessa nozione anche le indennità legali dovute per scioglimento del contratto di lavoro per volontà del lavoratore a causa del trasferimento del luogo di lavoro da parte del datore di lavoro, trasferimento che obblighi il lavoratore a cambiare luogo di residenza”.

(Fonte IPSOA)

Sproporzionato il licenziamento per l’uso della sigaretta elettronica in mensa

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Il licenziamento per ragioni disciplinari di un lavoratore è un provvedimento non conservativo, adottato dal datore di lavoro, per interrompere un rapporto privo dei requisiti di affidabilità, nonché causa di danni che deve essere proporzionato alla condotta lesiva tenuta; inoltre, precisa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19695 depositata il 27 giugno 2018, il comportamento deve rientrare fra quelli ritenuti punibili dal CNL con tale provvedimento, anche se contrario alle norme comuni del vivere civile, pena l’illegittimità.

Una società decideva di licenziare un proprio dipendente, per motivi legati alla disciplina. L’uomo, in particolare, aveva fatto più volte uso della sigaretta elettronica nel locale mensa, nonostante i ripetuti richiami, mossi dal datore di lavoro. Il provvedimento era immediatamente impugnato per ottenerne la dichiarazione di illegittimità. Le doglianze erano accolte dal Tribunale e la decisione veniva confermata anche in secondo grado. La Corte di Appello, in veste di giudice del reclamo, rilevava l’illegittimità del licenziamento, in quanto era un provvedimento del tutto sproporzionato rispetto alla condotta tenuta dal dipendente.

Avverso la predetta decisione, il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione per sostenere la legittimità del provvedimento non conservativo intimato al dipendente.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19695, depositata il 27 giugno 2018, ha rigettato il ricorso presentato dal datore di lavoro. In particolare, i giudici di legittimità chiariscono che il licenziamento in via generale è un provvedimento, che risponde all’esigenza di interrompere un rapporto di lavoro viziato dalla mancanza di fiducia tra le parti e causa di danni economici all’azienda.

Nell’ipotesi in cui sia adottato per motivi disciplinari, prosegue la Corte, questo deve essere proporzionato, ossia non eccessivo rispetto al comportamento tenuto dal dipendente. Inoltre, ai fini della legittimità della sanzione non conservativa, la condotta punita deve essere compresa all’interno di quelle previste dal Contratto collettivo Nazionale.

Nel caso di specie un dipendente era licenziato, poiché faceva un uso ripetuto della sigaretta elettronica nel locale delle mense, anche se: a) il divieto di fumare il dispositivo elettronico era stato affisso solo qualche giorno prima dell’interruzione del rapporto di lavoro; b) il CNL prescrive per tali condotte l’adozione di sole sanzioni conservative.

Da qui il rigetto del ricorso.

(Fonte IPSOA)

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