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Esenzioni fiscali e contributive anche per i lavoratori che convertono il premio di risultato

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Anche i dipendenti che decidono di convertire, in tutto o in parte, il proprio premio di rendimento in beni e servizi nell’ambito di un piano di welfare aziendale possono rappresentare una categoria di dipendenti. Pertanto, l’eventuale beneficio accordato agli stessi può godere appieno delle relative esenzioni fiscali e contributive. E’ quanto ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5/E/2018. E la conclusione raggiunta dall’Amministrazione non può che essere condivisa. Resta, però, un importante aspetto di interesse da approfondire: il welfare aggiuntivo è connotato da una matrice volontaristica o contrattuale?

La logica di un piano di welfare (sia esso sostitutivo rispetto ad un premio di rendimento, sia aggiuntivo all’ordinario pacchetto retributivo del lavoratore) è di intercettare esenzioni fiscali e contributive che consentano, da un lato, di massimizzare il netto del dipendente incrementando la sua capacità di spesa e, dall’altro lato, di ridurre il costo aziendale.

Tali disposizioni sono essenzialmente contenute nell’art. 51, comma 2 del Tuir; ci si riferisce, ad esempio alle ipotesi di non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente disposte per:

– i servizi di trasporto collettivo e gli abbonamenti al trasporto pubblico (lett. d e d-bis);

– gli oneri di utilità sociale (lett. f)

– le spese di istruzione (lett. f-bis)

– l’assistenza a familiari anziani e non autosufficienti (lett- f-ter).

Le norme sono accomunate dalla circostanza che ai fini dell’ottenimento dell’agevolazione fiscale è necessario che l’erogazione sia posta in essere nei confronti della generalità o di categorie di dipendenti. Proprio sul concetto di categoria è recentemente intervenuta la circolare n. 5/E/2018. Prima di entrare nel merito dei recenti chiarimenti si ritiene utile ricordare brevemente i precedenti pronunciamenti dell’Amministrazione sul tema.

Quando si ravvisa una categoria di dipendenti?

Mancando una definizione puntuale della nozione di “categoria” è necessario, come accennato, fare riferimento alle conclusioni raggiunte dalla prassi amministrativa. Così, nella nota circolare n. 326/E/1997 si è fatto riferimento al concetto di “gruppo omogeneo di dipendenti” con la conseguenza che deve essere escluso dall’esenzione qualsiasi incentivo riconosciuto ad personam. In un ulteriore chiarimento fornito nella circolare n. 188/E/1998 l’Agenzia ha affermato che il termine “non va inteso soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, quadri, operai, ecc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo(ad esempio, tutti i dirigenti o tutti quelli di un certo livello o di una certa qualifica)” e, nel caso di specie, sono stati considerati come facenti parte di una categoria tutti gli operai del turno di notte. In senso analogo, la risoluzione n. 378/E/2007 ha ritenuto sussistente una categoria anche nel caso dei c.d. expatriates.

I lavoratori che scelgono di convertire il premio rappresentano una categoria?

Tra le principali novità introdotte dalla legge di Stabilità 2016 si rinviene la possibilità accordata al lavoratore di percepire il premio oggetto di detassazione sotto forma monetaria ovvero di “convertirlo” in beni e servizi esenti, in tutto o in parte, da prelievo fiscale e contributivo. Tale facoltà è strettamente correlata alle condizioni previste per l’accesso alla detassazione e, pertanto, lo scambio con il welfare è consentito solo se l’importo corrisposto soddisfa i requisiti previsti per l’applicazione dell’imposta sostitutiva.

Al riguardo, nella prassi adottata da alcune società si ravvisa una particolare strutturazione del premio in caso di conversione in welfare. In particolare (al fine sia di incentivare i lavoratori ad optare per il welfare, sia di far beneficiare gli stessi del risparmio aziendale) nell’ambito dell’accordo aziendale si prevede un ulteriore beneficio per il dipendente che decide di “scambiare” il premio cash con beni e servizi sotto forma di maggiorazione del “pacchetto di spesa” a disposizione.

Ad esempio, fatto 1.000 il premio maturato dal lavoratore si potrebbe disporre che la conversione dello stesso porti ad una spesa in beni e servizi non di 1.000, ma di 1.100.

Il problema che gli operatori del settore si sono posti è se tale importo aggiuntivo possa anch’esso godere delle agevolazioni fiscali e contributive e, con maggior dettaglio, se possa essere rispettata la fondamentale condizione dell’attribuzione del beneficio ad una categoria di lavoratori nel senso sopra indicato.

I recenti chiarimenti

La circolare in commento si è soffermata proprio su tale dubbio confermando in modo espresso che “nel particolare contesto dei premi di risultato agevolabili, può peraltro configurarsi quale categoria di dipendenti l’insieme di lavoratori che avendo convertito, in tutto o in parte, il premio di risultato in welfare ricevono una “quantità” di welfare aggiuntivo rispetto al valore del premio, in ragione del risparmio contributivo di cui a seguito di tale scelta beneficia il datore di lavoro”.

Il chiarimento è in linea con la precedente prassi innanzi esposta e conferma che quello che effettivamente rileva ai fini delle agevolazioni previste per il welfare aziendale è che l’erogazione non nasconda incentivi individuali che non sarebbero, d’altra parte, in linea con lo spirito dei differenti regimi di favore che, non va dimenticato, sono finalizzati per larga parte ad intercettare e promuovere iniziative socio assistenziali a vantaggio della forza lavoro.

Considerazioni finali

La conclusione raggiunta dall’Amministrazione non può che essere condivisa in quanto, di fatto, la maggiorazione di capacità di spesa innanzi indicata può essere a tutti gli effetti qualificata come welfare aggiuntivo.

L’ulteriore tematica che può essere di interesse attiene, poi, alla circostanza se tale welfare aggiuntivo sia connotato da una matrice volontaristica o contrattuale. Come noto, tale evenienza può incidere sulla deducibilità di alcuni costi connessi al Piano (ad esempio sugli oneri di utilità sociale che, ai sensi dell’art. 100, possono scontare un limite di deducibilità del 5 per mille del costo del lavoro).

In realtà, nel caso di specie, ad avviso di chi scrive non viene meno la natura contrattuale dell’erogazione posto che la stessa trova la propria fonte non in una volontà unilaterale da parte dell’azienda, ma all’interno delle pattuizioni declinate nell’accordo di secondo livello.

(Fonte IPSOA)