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Contributi a Ente bilaterale: non imponibili se obbligatori

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Per la tassazione deve essere possibile stabilire un collegamento tra le somme versate e la componente reddituale nei confronti dei dipendenti

I versamenti effettuati da un datore di lavoro a un Ente bilaterale non vanno assoggettati a ritenuta se il contratto, l’accordo o il regolamento aziendale prevedono soltanto l’obbligo per il datore di fornire prestazioni assistenziali e questo sceglie di garantirsi una copertura economica iscrivendosi all’Ente. Questi i chiarimenti della risoluzione n. 54/E del 25 settembre 2020.

La premessa considera la circostanza in cui un‘associazione datoriale (datori di lavoro, imprese, persone che possiedono attività produttive) in sede di approvazione del CCNL -congiuntamente ai sindacati di categoria- ha costituito un Ente bilaterale che, in ottemperanza allo stesso contratto, può programmare e promuovere una serie di iniziative nei confronti dei dipendenti:

  • progetti di welfare, come la stipula di polizze assicurative per premorienza, “long term care”, integrazione del reddito in caso di congedi parentali o maternità/paternità, borse di studio eccetera
  • interventi di sostegno economico di incentivazione all’esodo con particolare riguardo ai lavoratori divenuti inidonei
  • formazione per qualificazione o riqualificazione professionale
  • formazione, ricerche, indagini in materia di salute e sicurezza del lavoro;
  • formazione, iniziative, ricerche e indagini in materia di pari opportunità, violenza di genere e molestie nei luoghi di lavoro.

I soci dell’Ente bilaterale sono le associazioni datoriali e i sindacati di categoria e gli organi direttivi sono nominati pariteticamente dalle due parti, che condividono la governance dell’Ente. Le singole aziende e i lavoratori non hanno quindi alcun ruolo nella gestione dell’Ente, ma sono i potenziali beneficiari delle attività e delle prestazioni effettuate.

Il quesito è stato posto da una società che aderisce al contratto di categoria, che chiede di conoscere la corretta disciplina fiscale applicabile ai contributi versati all’Ente bilaterale, in relazione a eventuali obblighi di sostituzione di imposta.

A tale proposito l’istante ricorda che la contribuzione è a carico delle aziende che applicano il contratto, che versano all’Ente ogni tre mesi l’ammontare dovuto per il trimestre precedente, determinato convenzionalmente moltiplicando un contributo stabilito in 21 euro per la forza media lavorativa impiegata nel trimestre di competenza. Per forza media si deve intendere il numero medio di unità presenti in azienda, tenuto conto delle cessazioni, sospensioni, dei lavoratori stagionali e di quelli a tempo determinato e a tempo parziale. Da questa modalità di quantificazione della contribuzione, sostiene l’istante, è evidente l’assenza di collegamento tra i singoli soggetti presenti in azienda nel trimestre per cui si versano i contributi e i soggetti suscettibili di beneficiare in futuro delle prestazioni attivate dall’Ente. L’accesso a tali prestazioni è fondato, sempre secondo l’istante, sul concetto di mutualismo e il contributo versato, perciò, non può essere qualificato come elemento retributivo riconducibile in capo al singolo lavoratore.

Ciò premesso l’azienda istante ritiene, considerato anche che la contribuzione all’Ente bilaterale non attribuisce al lavoratore un diritto a una prestazione certa,  che i contributi non costituiscono reddito per i dipendenti e pertanto i versamenti effettuati dal sostituto d’imposta non devono essere assoggettati a ritenuta.

Per la tassazione delle erogazioni effettuate dall’Ente bilaterale in favore dei dipendenti o dei loro familiari, invece, sarà necessario riscontrare l’imponibilità caso per caso, verificando se si tratta di prestazioni escluse dal reddito in base all’articolo 51, comma 2, del Tuir.

La risposta dell’Agenzia delle entrate rievoca la figura degli Enti bilaterali, definita dal Dlgs n. 276/2003. Questi organismi sono considerati sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso la programmazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda, la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati, la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito, lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro.

In generale, i contributi versati all’Ente bilaterale, dal datore di lavoro e dal lavoratore, concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, in quanto non rientrano nell’ipotesi di esclusione dal reddito previste dall’articolo 51, del Tuir, che dispone la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente, tra l’altro, dei soli contributi assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge (come chiarito anche con le circolari n. 326/1997 e n. 55/1999 del ministero delle Finanze).

Questa conclusione, però, viene meno nel caso in cui il contratto, l’accordo o il regolamento aziendale prevedano soltanto l’obbligo per il datore di lavoro di fornire talune prestazioni assistenziali e il datore di lavoro, obbligato a fornire dette prestazioni, scelga di garantirsi una copertura economica, iscrivendosi a un ente o ad una cassa. In questa circostanza il versamento del contributo da parte del datore di lavoro risponde a un suo interesse esclusivo e non genera imponibile per i lavoratori.

Per considerare imponibili tali contributi, inoltre, è necessario che essi siano riferibili alla posizione del singolo dipendente, ovvero che sia possibile giungere a un collegamento diretto tra il versamento effettuato e il lavoratore.  

Nel caso specifico la contribuzione è esclusivamente a carico della società che ha presentato l’interpello e l’ammontare del versamento è determinata convenzionalmente ogni trimestre, con il metodo indicato nell’istanza. Sulla base della metodologia indicata per il calcolo della contribuzione trimestrale, l’Agenzia ritiene che la società versa all’Ente bilaterale un contributo cumulativo e indifferenziato che esclude un collegamento diretto tra quanto versato dal datore di lavoro e ciascun singolo lavoratore. Tutto ciò considerato, dunque, non è possibile ravvisare nella contribuzione una componente reddituale nei confronti dei dipendenti e, pertanto, i predetti contributi non costituiscono reddito ai sensi del comma 1, dell’articolo 51 del Tuir.

A proposito del trattamento fiscale delle prestazioni assistenziali erogate ai singoli dall’Ente bilaterale, invece, l’Agenzia delle entrate ha più volte specificato che l’imponibilità deriva dall’applicazione dei principi generali che disciplinano la tassazione dei redditi: le prestazioni vanno assoggettate a tassazione se sono inquadrabili in una delle categorie reddituali previste dall’articolo 6 del Tuir, comprese le somme da considerare come corresponsioni erogate in sostituzione di tali categorie reddituali. Questa soluzione prescinde, precisa la risposta, dal fatto che i contributi versati dal datore di lavoro non siano stati assoggettati a tassazione quali redditi di lavoro dipendente.

Fonte FiscoOggi.it