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Contratto a tempo determinato: rinnovi più cari, ma rimborsabili alle aziende

Con il decreto Dignità (decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla legge 9 agosto 2018, n. 96) cambiano le regole relative ai contributi previdenziali dovuti sui contratti a tempo determinato. L’art. 3, comma 2 del decreto ha, infatti, previsto un maggior onere contributivo nel caso di rinnovi contrattuali.

In particolare, è previsto che il contributo di cui all’articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92 è aumentato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione. Si tratta del contributo addizionale NASpI introdotto dalla legge Fornero con decorrenza dai periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 e pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Tale contributo fino al 13 luglio 2018 – data di entrata in vigore del D. L. n. 87/2018 – era sempre dovuto nella misura dell’1,4% a prescindere dalla durata del contratto o da eventuali rinnovi. Successivamente, invece, per ogni rinnovo contrattuale il contributo è dovuto nella misura pari all’1,4% a cui va aggiunto uno 0,5% per ogni rinnovo contrattuale.

Dovranno essere computati esclusivamente i rinnovi dal 14 luglio 2018, posto che la nuova formulazione dell’art. 2, comma 28 della Legge n. 92/2018 prevede che “Il contributo addizionale è aumentato […] in occasione di ciascun rinnovo […]”. Non rilevano dunque i rinnovi contrattuali tra le parti stipulati antecedentemente alla data predetta.

L’aumento contributivo è dovuto per tutti i contratti a tempo determinato, anche in regime di somministrazione. Unica esclusione prevista dalla norma riguarda i contratti di lavoro domestico.

Ricordiamo, a tal fine, che in occasione dell’entrata in vigore della legge n. 92/2012 era sorto il dubbio se il contributo addizionale NASpI fosse dovuto anche in relazione ai contratti di lavoro domestico in considerazione della specialità della disciplina relativa a tale tipologia di lavoro. Il comma 29 dell’art. 2 della legge Fornero, infatti, non prevede alcuna esclusione per tali contratti.

L’INPS è intervenuta su tale aspetto con la circolare n. 25 dell’8 febbraio 2013, n 25 chiarendo che tale contributo è dovuto anche per i rapporti di lavoro domestico. Successivamente, l’INPS ha confermato l’obbligo col messaggio n. 4441/2015 giustificandolo con l’assenza di una norma che ne preveda l’esclusione.

Le ultime modifiche al comma 28 fugano ogni possibile dubbio interpretativo in quanto è previsto “disposizioni del precedente periodo” – cioè quelle dell’aumento contributivo per ogni rinnovo – “non si applicano ai contratti di lavoro domestico”.

L’aumento del contributo è operativo dal 14 luglio 2018 e riguarda tutti i contratti di lavoro a tempo determinato a prescindere dall’applicazione del regime transitorio. Tale regime, infatti, prevede che le disposizioni di cui all’art. 1 del D. L. n. 87/2018 – cioè le modifiche in materia di contratto a tempo determinato del D. Lgs. n. 81/215 – si applicano solo ai nuovi contratti di a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe contrattuali successivi al 31 ottobre 2018.Opera dunque sulle disposizioni dell’art. 1 del D.L. n. 87/2018 e non anche su quelle dell’art. 3 che regolano l’aumento del contributo addizionale NASpI.

L’aumento contributivo è dovuto a condizione che sorga l’obbligazione contributiva dell’1,4% del contributo addizionale ASpI e quindi non si applica laddove il contributo non sia dovuto.

A tal fine, ricordiamo che il contributo addizionale (INPS, messaggio n. 4441 del 30 giugno 2015) non si applica:

Il contributo addizionale versato dai datori di lavoro potrà essere oggetto di restituzione nel caso di trasformazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato o in caso di assunzione sempre a tempo indeterminato. Tale possibilità è espressamente prevista dall’art. 2, comma 30 della legge Fornero.

Nel primo caso, la norma prevede espressamente che il contributo “è restituito, successivamente al decorso del periodo di prova, al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato”. Nella seconda ipotesi, invece, è previsto che “La restituzione avviene anche qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine. In tale ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine”.

Pertanto, se si procede alla stabilizzazione a tempo indeterminato, la restituzione riguarda i contributi versati per l’intero periodo contrattuale.

Se si procede all’assunzione a tempo indeterminato, occorre tenere conto che il recupero potrà avvenire se il contratto è stato stipulato entro 6 mesi. Inoltre, dai 6 mesi teorici di contributo addizionale versato, occorre decurtare pro rata i mesi trascorsi dal termine del contratto a tempo determinato fino alla trasformazione (sulle modalità di calcolo, circolare INPS n. 140/2012).

E’ utile evidenziare che la restituzione contributiva è cumulabile con gli incentivi che operano sulle aliquote di finanziamento delle prestazioni contributive. Ad esempio, la stabilizzazione di un contratto a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato con un soggetto che possiede i requisiti previsti dall’agevolazione di cui all’art. 1, commi 100 e seguenti della legge n. 205/2017, consentirà il

Non risulta apportata alcuna modifica invece relativamente alle agevolazioni previste in caso di assunzioni a tempo determinato effettuate ai sensi dell’articolo 4 del D. Lgs n. 151/2001 in sostituzione di lavoratrici e di lavoratori assenti per congedo di maternità o paternità.

L’incentivo – ricordiamo – è limitato ai datori di lavoro imprenditori e non imprenditori (cfr. circ. INPS n. 136/2001) con meno di 20 dipendenti all’atto della richiesta, consiste in uno sgravio contributivo del 50% e spetta fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento.

L’assunzione può avvenire con un mese di anticipo rispetto a quello di inizio del congedo, fatti salvi periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva. Le agevolazioni si rivolgono anche alle aziende in cui operano lavoratrici autonome, per un periodo massimo di 12 mesi. Roma, 8 ottobre 2018 (Fonte IPSOA)

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