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Bonus locazione per i nuovi assunti: a chi spetta, quanto vale e come verrà erogato nel 2025

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Per favorire la ricerca di personale da parte delle imprese il disegno di legge di Bilancio prevede un bonus locazione in favore dei lavoratori assunti a tempo indeterminato nel periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2025. Come funziona? Verranno erogate o rimborsate, dai datori di lavoro, le somme per il pagamento dei canoni di locazione e delle spese di manutenzione dei fabbricati affittati dai dipendenti che non abbiano percepito, nell’anno precedente l’assunzione, come reddito da lavoro dipendente, una somma superiore ai 35.000 euro e abbiano trasferito la loro residenza ad una distanza superiore ai 100 chilometri calcolati tra la precedente e la nuova sede di lavoro.

Tra le misure che hanno destato un certo interesse presso le imprese che sono alla continua ricerca di personale specializzato, c’è una norma nel disegno di legge di Bilancio 2025 riguardante i provvedimenti fiscali per il welfare aziendale e tra questi, una particolare attenzione è stata riservata ai primi quattro commi dell’art. 68.

Benefit locazione per i dipendenti

In favore dei dipendenti lavoratori assunti a tempo indeterminato dai datori di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2025, verrà riconosciuto per i primi due anni dall’assunzione, un “benefit” che non concorre a formare il reddito ai fini fiscali, entro un limite complessivo di 5.000 euro l’anno. Tale esclusione non rileva ai fini contributivi; ciò significa che non avrà effetti negativi sulle prestazioni previdenziali ed assistenziali e per la determinazione dell’ISEE.

Le somme verranno erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento dei canoni di locazione e delle spese di manutenzione dei fabbricati affittati dai dipendenti che:

  1. non abbiano percepito, nell’anno precedente l’assunzione, come reddito da lavoro dipendente una somma superiore ai 35.000 euro;
  2. abbiano trasferito la loro residenza ad una distanza superiore ai 100 chilometri calcolati tra la precedente e la nuova sede di lavoro.
  3. forniscano al proprio datore una auto dichiarazione ex art. 46 del DPR n. 445/2000, coperta da sanzione penale in caso di mendacità, con la quale attestino il luogo di residenza relativo ai sei mesi antecedenti l’assunzione. Da ciò ne consegue, secondo il tenore letterale della disposizione, che il lavoratore non possa trasferire la propria residenza prima della data della formale assunzione.

Fin qui la disposizione, fortemente caldeggiata da esponenti dell’industria che lamentano una certa ritrosia a spostarsi definitivamente dai luoghi di origine ove, peraltro, non abbondano le occasioni di lavoro, soprattutto per i giovani.

Chiarimenti sui requisiti fondamentali

Detto questo, però, credo che l’articolato meriti qualche chiarimento.

Si parla di datori di lavoro “tout court”: personalmente, ritengo che siano escluse le Pubbliche Amministrazioni in quanto l’art. 68 si inserisce nel titolo VIII, capo I, del disegno di Legge che reca nella rubrica la dizione “misure in favore delle imprese”. Salvo eventuali modifiche scaturite dal dibattito parlamentare dovrebbero essere esclusi anche i datori di lavoro privati che non sono imprese (ad esempio, studi professionali, associazioni, fondazioni, ecc.).

La norma, che non è strutturale ma temporanea, si riferisce alle assunzioni a tempo indeterminato realizzatesi lungo l’arco temporale del 2025. Ciò significa che, ad essere privilegiate saranno le assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato (anche parziale, atteso che, non sussiste alcuna esclusione) e con contratto di apprendistato (che è un contratto a tempo indeterminato come recita l’art. 41 del D.L.vo n. 81/2015). La disposizione non esclude le assunzioni a tempo indeterminato effettuate dalle Agenzie di Lavoro per la successiva somministrazione dei lavoratori a datori di lavoro per missioni anche a tempo determinato, atteso che ciò che conta è il rapporto con il proprio datore (in questo caso, l’Agenzia) che è a tempo indeterminato.

Resterebbero fuori le trasformazioni di contratti a termine, e, in tal senso, si sono espressi i primi commenti tecnici. Se tale interpretazione sarà fatta propria dall’Agenzia delle Entrate assisteremo ad un indirizzo amministrativo diverso da quello seguito dall’INPS che, in presenza delle condizioni soggettive e oggettive previste dai vari incentivi, riconosce i benefici anche alle trasformazioni dei contratti a tempo determinato. Sarebbe auspicabile che, a fronte di situazioni oggettivamente simili, le Amministrazioni pubbliche avessero posizioni uniformi.

Restano, a mio avviso, fuori dalla previsione:

  1. il contratto a tempo determinato, in quanto la disposizione si riferisce a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
  2. il rapporto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, in quanto tale tipologia non garantisce alcuna stabilità dipendendo, unicamente, dalla “chiamata” del datore che, peraltro, non ha alcun obbligo dopo la stipulazione del contratto;
  3. il contratto di lavoro domestico a tempo indeterminato, in quanto, oltre alla specialità del rapporto, la norma non riguarda le famiglie ma le imprese.

Altro requisito fondamentale è rappresentato dal cambio di residenza: come andrà calcolata la distanza che deve essere superiore ai 100 chilometri?

A mio avviso (e, qui, sicuramente, chiarimenti amministrativi saranno necessari), escluso qualsiasi riferimento alla “linea d’aria”, dovrebbe essere preso in considerazione il percorso più breve percorribile tra la vecchia residenza ed il luogo ove si svolge l’attività lavorativa.

Il comma 1 dell’art. 68 si riferisce alla somma di 5.000 euro all’anno riguardante i primi due anni di contratto a tempo indeterminato (sono, quindi, 10.000 euro complessivi): dalla lettura del testo non traspare alcun riferimento ai periodi di imposta. Di conseguenza i rimborsi per l’affitto ed i costi di manutenzione seguono il principio dell’anno solare, sicché un dipendente assunto, ad esempio, il 1° settembre 2025 potrà fruire del beneficio per i due anni successivi che terminano il 31 agosto 2027.

Il datore di lavoro, che potrà conguagliare le somme con le consuete modalità, oltre all’auto dichiarazione del dipendente, dovrà conservare la documentazione delle spese erogate o rimborsate (ad esempio, copia del contratto di affitto e ricevute delle spese di manutenzione) per metterla a disposizione degli organi di controllo, se ciò, in futuro, dovesse essere richiesto.

Tale beneficio è senz’altro cumulabile con quello previsto ai commi 5 e 6 per gli anni 2025, 2026 e 2027 di 1.000 euro per il pagamento delle utenze domestiche o anche per il pagamento del mutuo dell’abitazione principale o dell’affitto: esso sale a 2.000 euro se i lavoratori dipendenti hanno figli a carico, compresi quelli nati fuori dal matrimonio, riconosciuti, figli adottivi, affiliati o affidati con l’innalzamento della soglia del TUIR e che è stato già sperimentato nel 2024.

Il rimborso delle somme spese per l’affitto e la manutenzione dell’abitazione non possono sommarsi con ciò che afferma il D.P.R. n. 917/1986 al comma 7 dell’art. 51 ove si parla di indennità di trasferimento o di sistemazione in quanto, come affermato nella circolare n. 326/1997, esse sono riconosciute in “occasione del trasferimento di lavoro del dipendente” e, quindi, come tali, di spettanza a chi è già in forza e non ai nuovi assunti.

Dalla lettura della relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge, traspare una valutazione che tiene conto di quanto stanziato: la misura potrebbe interessare, al massimo, circa 30.000 lavoratori nel 2025, 56.000 nel 2026 e 26.000 nel 2027.

Fonte IPSOA.it