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Rivalutazione Tfr, l’acconto può anche essere “presuntivo”

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La norma consente al datore di lavoro di scegliere, in ciascun anno, tra il metodo storico e previsionale per la determinazione dell’anticipo da versare entro il 16 dicembre di ciascun anno

L’acconto dell’imposta sulla rivalutazione del fondo Tfr, da versare entro il 16 dicembre di ciascun anno, può essere determinato, anziché con il metodo storico, sulla base del calcolo della rivalutazione che presumibilmente sarà accantonata al fondo Tfr nell’anno in corso. Lo chiarisce l’Agenzia nella risoluzione n. 68/E del 7 dicembre 2023

La precisazione è diretta a un Consiglio nazionale. Il dubbio da chiarire riguarda il metodo di calcolo dell’imposta sostitutiva che i datori di lavoro devono applicare alle rivalutazioni del fondo Tfr maturate in ciascun anno. Il tributo deve essere versato entro il 16 febbraio dell’anno successivo mentre entro il 16 dicembre dell’anno in corso deve essere pagato l’acconto pari al 90% dell’imposta sulle rivalutazioni maturate nell’anno precedente.

Al fine della determinazione della percentuale di rivalutazione si deve utilizzare l’incremento dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati rilevato nel mese di dicembre dell’anno precedente. Per i dipendenti cessati in corso d’anno (entro il 30 novembre) l’acconto è dovuto nella misura del 90% dell’imposta trattenuta sulle rivalutazioni all’atto della cessazione del rapporto. In alternativa l’anticipo può essere determinato sulla base delle rivalutazioni presuntive maturate nell’anno per il quale è dovuto (articolo 11, comma 4, del Dlgs 18 febbraio 2000, n. 47/2000).

Ciò detto, l’istante osserva che nel 2022, il calcolo in base ai dati Istat, ha avuto un impatto rilevante sulla determinazione della quota di rivalutazione del Tfr accantonata al 31 dicembre 2022, in quanto il coefficiente di rivalutazione è stato pari al 9,974576%, con conseguente incidenza sull’importo dell’imposta sostitutiva dovuta il 16 febbraio 2023.

Nel 2023, invece, il coefficiente di rivalutazione applicabile a fine anno risulterà, presumibilmente molto inferiore con conseguenti impatti sull’imposta dovuta a saldo il 16 febbraio 2024.

Per effetto di tali variazioni, qualora il sostituto d’imposta, continua l’ente, utilizzasse, per il calcolo dell’acconto dovuto entro il 16 dicembre 2023 l’incremento dell’indice Istat rilevato a dicembre 2022 dovrebbe versare un acconto che, in sede di saldo, determinerebbe un credito da recuperare nell’anno successivo, dopo la presentazione della dichiarazione 770/2024 e il sostituto dovrebbe anche chiedere l’apposizione del visto di conformità nel caso in cui il credito risultasse superiore a 5mila euro.

Il Consiglio nazionale chiede se, per superare tale problematica, il calcolo dell’acconto dovuto entro il 16 dicembre 2023 possa essere effettuato stimando la rivalutazione che maturerà a fine anno e calcolando l’acconto del 90% dell’imposta dovuta su tale importo.

Nel caso in cui il versamento risultasse poi insufficiente, l’ente ritiene applicabili le sanzioni tributarie previste per tardivo versamento e con, ove possibile, applicazione del ravvedimento operoso.

L’Agenzia delle entrate, dopo aver riepilogato la disciplina di riferimento, in sostanza, arriva alle stesse conclusioni dell’istante.

In particolare, forte della sua prassi (circolare n. 50/2022), conferma che la norma consente al datore di lavoro di scegliere, in ciascun anno, tra il metodo storico e previsionale per la determinazione dell’acconto da versare entro il 16 dicembre di ciascun anno.

Di conseguenza, con riferimento al 2023, visto che, presumibilmente l’indice Istat relativo al mese di dicembre 2023 sarà più basso rispetto a quello dello scorso anno e, pertanto, per evitare che, in sede di saldo, si determini un’eccedenza a credito, l’Agenzia ritiene che il sostituto d’imposta possa determinare l’acconto dell’imposta sostitutiva sulla base del calcolo della rivalutazione che presumibilmente sarà accantonata al fondo Tfr nel 2023.

In tale caso, se l’acconto pagato dovesse poi risultare più basso rispetto all’imposta effettivamente dovuta, l’insufficiente versamento sarà soggetto alla sanzione prevista dall’articolo 13 del Dlgs n. 471/1997, ferma la possibilità di regolarizzare spontaneamente la violazione attraverso l’istituto del ravvedimento operoso (articolo 13 Dlgs n. 472/1997).

Fonte FiscoOggi.it