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Piani di welfare: quando si possono dedurre i costi

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L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 5/E del 2018, è tornata – quasi incidentalmente – sul tema della deducibilità delle misure di welfare aziendale. I dubbi attengono, in particolare, la possibilità di dedurre i costi del welfare adottato attraverso il regolamento aziendale che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale. Le Entrate mancano l’opportunità di sciogliere i dubbi sorti tra gli operatori e, anzi, complicano l’interpretazione di alcune misure di welfare per le quali, fino alla pubblicazione della circolare, il regime di deducibilità appariva pacifico. Come orientarsi?

Il welfare aziendale costituisce un risparmio notevole per lavoratori e aziende consentendo al datore di lavoro di effettuare erogazioni sotto forma di benefits totalmente esenti a livello fiscale e previdenziale.

Deducibilità dei costi

Il tema della deducibilità dei costi derivanti dal Welfare aziendale è chiaramente di rilevante interesse per le aziende che rischierebbero, qualora questo non fosse possibile, di ridurre sensibilmente il risparmio “conquistato” grazie alla non imponibilità. Il problema si era già posto a seguito della circolare n. 28/E del 15/06/2016, vademecum per gli operatori sino al nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate, ed è stato amplificato con la recente circolare n. 5/E del 29/03/2018.

Cosa prevede il TUIR

È bene ricordare innanzitutto che il Welfare aziendale può essere introdotto dalle imprese sia attraverso il confronto sociale (passando quindi per il coinvolgimento dei sindacati col quale potrà inoltre essere contemplata l’istituzione di un sistema di Premi di Risultato), sia attraverso un riconoscimento volontario frutto di una decisione unilaterale del datore di lavoro.

L’art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR stabilisce che non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, e offerti a categorie o alla generalità dei dipendenti, e ai loro familiari, per le finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

Il problema della deducibilità attiene proprio a tale tipologia di benefit. Con la circolare n. 26/E del 2016 l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che, in base al combinato disposto degli artt. 95 e 100 del TUIR, da una parte vi sono le erogazioni unilaterali scaturite da una decisione puramente liberale dell’azienda i cui costi sono deducibili al 5 per mille secondo quanto previsto dall’art. 100 TUIR; dall’altra le erogazioni integralmente deducibili in quanto effettuate in conformità a contratto, accordo o regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale.

Mentre non sussiste alcun dubbio in merito al welfare introdotto da contratti o accordi sindacali, non è chiaro cosa si intenda per “regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale”.

Regolamento che configura adempimento di un obbligo negoziale

L’Agenzia delle Entrate non ha chiarito se il regolamento debba dar seguito ad un precedente atto bilaterale (pensiamo ad un accordo collettivo in cui le parti si limitano a prevedere l’obbligo per l’azienda di adottare un piano Welfare lasciando qualsiasi valutazione alla discrezione dell’imprenditore) o se esistono casi in cui in un regolamento “puro” possa essere ravvisato l’adempimento di un obbligo negoziale. Quest’ultima appare comunque l’unica interpretazione sensata in quanto, nel caso contrario di un regolamento attuativo di un accordo sindacale, il riferimento stesso al regolamento sarebbe stato superfluo.

Il problema, quindi, è come la natura di un regolamento, tipicamente atto unilaterale del datore di lavoro, possa configurarsi come adempimento di un obbligo negoziale anche in assenza di un vero dialogo tra le parti sociali.

La Direzione Regionale Lombardia dell’Agenzia delle Entrate, con l’Interpello n. 954-1417/2016, ha fornito alcuni primi chiarimenti sostenendo che, qualora nel Regolamento venga esplicitata la facoltà del datore di lavoro di cessare unilateralmente e discrezionalmente l’implementazione e l’efficacia del piano Welfare al termine di ciascun anno di vigenza senza che da questo possa derivare alcun successivo obbligo nei confronti dei collaboratori, non può configurarsi alcun obbligo negoziale. Occorre rilevare tuttavia che, non potendosi ipotizzare un regolamento definitivo e permanente e che per i principi cardine del nostro ordinamento qualsiasi atto può essere cessato, rilevante sarà l’arco temporale nel quale permane l’obbligo per il datore di lavoro. In assenza di riferimenti normativi, tuttavia, molte sono le difficoltà operative.

Altre indicazioni sono state poi fornite dalla Direzione Regionale Lazio con Interpello n. 913-807/2017. Nel caso di specie il datore di lavoro si riservava di apportare variazioni, integrazioni o modifiche al regolamento in corso di validità. L’Agenza delle Entrate regionale, quindi, rilevava giustamente come l’arbitrarietà del datore di lavoro faceva venire meno l’obbligo negoziale.

La Circolare n. 5/E del 2018

Con l’ultimo intervento, l’Agenzia delle Entrate procede innanzitutto estendendo la portata del dubbio interpretativo anche ad altre misure di Welfare. Non più solo opere e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto: la piena deducibilità viene messa in dubbio anche per altri benefit che, secondo l’interpretazione dell’Amministrazione, costituiscono una specificazione degli oneri di utilità sociale indicati alla lett. f):

  • Rimborsi e servizi per i servizi di educazione e istruzione in favore dei familiari
  • Rimborsi e servizi per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti
  • Contributi e premi, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza.

L’Amministrazione finanziaria torna poi ad individuare due tipologie di welfare aziendale: quello riconosciuto a seguito di un confronto con i sindacati e quello frutto della decisione volontaria del datore di lavoro. Dal tenore letterale della circolare, i regolamenti che configurano adempimento di un obbligo negoziale sembrerebbero, questa volta, essere inseriti tra i benefit erogati volontariamente con deducibilità limitata quindi al 5 per mille.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, non si esprime chiaramente sul punto. Una tale modifica interpretativa avrebbe infatti richiesto una maggiore chiarezza espositiva al fine di non lasciare alcun dubbio agli operatori. L’Amministrazione finanziaria, invece, non solo accenna frettolosamente al regolamento, ma richiama inoltre la sua precedente circolare dove, ricordiamo, sosteneva la piena deducibilità del Welfare nel caso in cui l’atto datoriale configuri l’adempimento di un obbligo negoziale.

È chiaro come il tema non sia di poco conto considerando che tutte le misure di welfare aziendale più “appetibili” per le aziende rischierebbero di non essere pienamente deducibili senza accordo sindacale: rimborsi spese per le rette scolastiche, per badanti o case di cura, viaggi, abbonamenti in palestra, corsi di lingua…. è evidente che un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate sarebbe necessario per fugare ogni dubbio.

Conclusioni

In attesa di un tale intervento si ritiene ancora valida l’interpretazione secondo cui un regolamento nel quale il datore di lavoro si impegna a non modificare il piano welfare (se non con interventi migliorativi) per un certo arco di tempo, ad esempio due o tre anni, potrà essere espressione di un obbligo negoziale e garantire dunque la piena deducibilità del welfare.